Che cos’è l’arte se non il bisogno irrefrenabile dell’artista di tirare fuori ciò che ha dentro?
Spesso questo qualcosa è così profondo che, tirarlo fuori, diventa doloroso. E’ aprire tante porte, è togliere infiniti strati uno sopra l’altro e diventare nudi. E poi? E poi cosa succede una volta che si è impresso tutto questo su una tela?
A volte la odiamo, a volte la amiamo, a volte non possiamo stare senza guardarla costantemente, a volte vogliamo solo bruciarla.
Tutto questo passaggio appena descritto è lavoro dell’anima. Il transfert che solo l’arte, in ogni sua forma, riesce a fare. L’arte per guarire, l’arte per ricongiungersi con il Sè, l’arte per osservarsi, l’arte per sfogarsi, l’arte per svuotarsi, l’arte per liberarsi.
Ma cosa succede se ci mettiamo di mezzo l’ego? L’ego vuole essere visto. L’ego vuole mostrare quella creatura. L’ego vuole like, commenti, approvazioni per una creatura che è appena nata, ma che in realtà è fragilissima. Se non siamo pronti ad essere allineati con noi stessi, questo è un suicidio.
Mostrare agli altri la nostra anima, senza selezione alcuna, è quanto di più sbagliato si possa fare. Mettere alla mercé di chiunque la possibilità di osservarci nudi, giudicarci e vedere dentro le nostre più intime profondità è la cosa più dannosa che possiamo fare a noi stessi.
Ogni commento non positivo, ogni critica, ogni giudizio, ogni opera invenduta è una ferita sanguinante direttamente della propria anima.
Questo è ciò che è successo a Van Gogh: la sua sensibilità e la sua connessione con l’anima erano, al tempo stesso, forti e fragili. Forti perché in ogni tela si metteva a nudo avendo una grande connessione con il suo Sè, fragili perché ogni volta vi erano critiche e porte in faccia. Si è chiuso sempre più dentro il suo mondo fino ad essere internato, fino al suicidio.
Artisti che invece avevano un legame forte con la propria anima, un ego dominante che li faceva sentire sicuri di sé in qualsiasi momento sono stati Dalì e Picasso. Sopra tutti Dalì, la cui autostima e dialogo interiore erano solidi, tanto da mostrarsi nudo sapendo di essere una potenza. Dall’alto della sua consapevolezza di aver questo canale aperto con la sua fonte di ispirazione, non utilizzava nessun tipo di droga, ma lavorava sui sogni.
Van Gogh beveva assenzio e si ritiene che spesso mangiasse i colori perché non aveva soldi per comprarsi il cibo. All’interno dei colori vi erano metalli pesanti, dannosi per il cervello; una delle probabili cause della schizofrenia.
Nel percorso del Risveglio della Creatività che ho portato (e porto) avanti sul mio canale Patreon, c’è un momento in cui le persone, da essere assopite in una vita monotona, scoprono di amare una qualche forma d’arte. C’è chi inizia a fare danza, chi canta, chi fa ceramica, chi dipinge, chi fotografa…quello che succede in questo preciso momento è pura magia.
Iniziamo a stare bene, le nostre mani, il nostro corpo si sentono pieni, appagati, luminosi e gioiosi. Ciò che crediamo ci dà una gioia e una soddisfazione che non pensavamo avremmo mai provato in vita nostra!
Ecco questo è esattamente il momento più pericoloso dell’intero percorso.
Le persone che sono intorno a noi (che spesso, ahimè, sono tossiche senza sapere di esserlo) non accetteranno di vederci diverse, non capiranno il nostro prenderci tempo per noi stessi e ci criticheranno.
Il nostro ego uscirà allo scoperto urlando: “Guarda cosa sono capace di fare! Vedi marito, sono sempre stata dietro alla famiglia, non ho mai avuto tempo per me, ma so ballare!”
Cosa credete che risponda un marito che non ha mai lasciato tempo libero alla moglie, tempo da dedicare interamente a se stessa?
Ci giudicherà, ci ridicolizzerà, ci criticherà.
Ecco che nel nostro percorso due cose sono fondamentali in questo preciso momento:
1. Tenersi tutto questo per sé, coltivare un segreto, proteggere il nostro bambino interiore che è uscito allo scoperto e va salvaguardato. Lo scotto che pagheremo se non lo faremo sarà un blocco definitivo (o quasi) della nostra creatività
2 La forza del gruppo: Lavorare in gruppo ci permette di poter condividere con persone che stanno affrontando le nostre stesse sfide. Il gruppo è un’ala sotto cui troviamo rifugio, nel gruppo c’è comprensione, amore e non giudizio.
Viviamo in un momento in cui tutti vogliono apparire. Ogni giorno spuntano persone che si improvvisano artisti, counselor, terapisti, musicisti, sciamani, cuochi….l’intento con cui lo fanno è sicuramente lodevole, ma non hanno maturato l’esperienza né dentro, né fuori di loro.
Viviamo in un’epoca di qualunquismo in cui tutti fanno tutto e basta avere uno smartphone ed usare i giusti hashtag per prendere like e commissioni.
La nostra anima però non vuole fare tutto! Lei vibra solo in determinate situazioni, ma chi non lavora dentro di sé non riesce ad ascoltarla. Fa tutto e fa danni. A sé in primo luogo e agli altri di conseguenza.
Smettiamo di voler condividere tutto quello che facciamo e passiamo più tempo a guardarci dentro e a capire cosa realmente la nostra anima è gioia di fare!
Questa sarà davvero la chiave per una strada felice, duratura e luminosa.
Che cos’è l’arte se non il bisogno irrefrenabile dell’artista di tirare fuori ciò che ha dentro?
Spesso questo qualcosa è così profondo che, tirarlo fuori, diventa doloroso. E’ aprire tante porte, è togliere infiniti strati uno sopra l’altro e diventare nudi. E poi? E poi cosa succede una volta che si è impresso tutto questo su una tela?
A volte la odiamo, a volte la amiamo, a volte non possiamo stare senza guardarla costantemente, a volte vogliamo solo bruciarla.
Tutto questo passaggio appena descritto è lavoro dell’anima. Il transfert che solo l’arte, in ogni sua forma, riesce a fare. L’arte per guarire, l’arte per ricongiungersi con il Sè, l’arte per osservarsi, l’arte per sfogarsi, l’arte per svuotarsi, l’arte per liberarsi.
Ma cosa succede se ci mettiamo di mezzo l’ego? L’ego vuole essere visto. L’ego vuole mostrare quella creatura. L’ego vuole like, commenti, approvazioni per una creatura che è appena nata, ma che in realtà è fragilissima. Se non siamo pronti ad essere allineati con noi stessi, questo è un suicidio.
Mostrare agli altri la nostra anima, senza selezione alcuna, è quanto di più sbagliato si possa fare. Mettere alla mercé di chiunque la possibilità di osservarci nudi, giudicarci e vedere dentro le nostre più intime profondità è la cosa più dannosa che possiamo fare a noi stessi.
Ogni commento non positivo, ogni critica, ogni giudizio, ogni opera invenduta è una ferita sanguinante direttamente della propria anima.
Questo è ciò che è successo a Van Gogh: la sua sensibilità e la sua connessione con l’anima erano, al tempo stesso, forti e fragili. Forti perché in ogni tela si metteva a nudo avendo una grande connessione con il suo Sè, fragili perché ogni volta vi erano critiche e porte in faccia. Si è chiuso sempre più dentro il suo mondo fino ad essere internato, fino al suicidio.
Artisti che invece avevano un legame forte con la propria anima, un ego dominante che li faceva sentire sicuri di sé in qualsiasi momento sono stati Dalì e Picasso. Sopra tutti Dalì, la cui autostima e dialogo interiore erano solidi, tanto da mostrarsi nudo sapendo di essere una potenza. Dall’alto della sua consapevolezza di aver questo canale aperto con la sua fonte di ispirazione, non utilizzava nessun tipo di droga, ma lavorava sui sogni.
Van Gogh beveva assenzio e si ritiene che spesso mangiasse i colori perché non aveva soldi per comprarsi il cibo. All’interno dei colori vi erano metalli pesanti, dannosi per il cervello; una delle probabili cause della schizofrenia.
Nel percorso del Risveglio della Creatività che ho portato (e porto) avanti sul mio canale Patreon, c’è un momento in cui le persone, da essere assopite in una vita monotona, scoprono di amare una qualche forma d’arte. C’è chi inizia a fare danza, chi canta, chi fa ceramica, chi dipinge, chi fotografa…quello che succede in questo preciso momento è pura magia.
Iniziamo a stare bene, le nostre mani, il nostro corpo si sentono pieni, appagati, luminosi e gioiosi. Ciò che crediamo ci dà una gioia e una soddisfazione che non pensavamo avremmo mai provato in vita nostra!
Ecco questo è esattamente il momento più pericoloso dell’intero percorso.
Le persone che sono intorno a noi (che spesso, ahimè, sono tossiche senza sapere di esserlo) non accetteranno di vederci diverse, non capiranno il nostro prenderci tempo per noi stessi e ci criticheranno.
Il nostro ego uscirà allo scoperto urlando: “Guarda cosa sono capace di fare! Vedi marito, sono sempre stata dietro alla famiglia, non ho mai avuto tempo per me, ma so ballare!”
Cosa credete che risponda un marito che non ha mai lasciato tempo libero alla moglie, tempo da dedicare interamente a se stessa?
Ci giudicherà, ci ridicolizzerà, ci criticherà.
Ecco che nel nostro percorso due cose sono fondamentali in questo preciso momento:
1. Tenersi tutto questo per sé, coltivare un segreto, proteggere il nostro bambino interiore che è uscito allo scoperto e va salvaguardato. Lo scotto che pagheremo se non lo faremo sarà un blocco definitivo (o quasi) della nostra creatività
2 La forza del gruppo: Lavorare in gruppo ci permette di poter condividere con persone che stanno affrontando le nostre stesse sfide. Il gruppo è un’ala sotto cui troviamo rifugio, nel gruppo c’è comprensione, amore e non giudizio.